Anche nel personal branding l’essenziale è ciò che non si vede

//Anche nel personal branding l’essenziale è ciò che non si vede

Fatti realizzare un bel sito tuonomecognome.it

Pubblica su Facebook e Instagram una serie di selfie accompagnati da frasi profonde “rubate” o prese in prestito da personaggi più o meno famosi.

Fai un restyling del tuo profilo LinkedIn buttando dentro un po’ di parole chiave e colleziona contatti come se stessi giocando a figurine.

Piazza un telefonino sul cruscotto dell’auto e inizia a parlare di quello che ti viene in mente.

Dulcis in fundo, fatti scrivere un libro. L’argomento? Non importa. Basta avere una bella foto sulla copertina, un titolo figo e il gioco è fatto!

Ecco qui la ricetta perfetta per realizzare una strategia di personal branding “soufflé”. Hai presente quei soufflé usciti male che, tolti dal forno, si sgonfiano nel giro di pochi secondi? Ecco l’effetto è proprio questo.

Certo, anche noi di Stand Out realizziamo siti personali, curiamo il restyling dei profili LinkedIn, realizziamo video e aiutiamo i nostri clienti a scrivere un libro sulla tematica di loro competenza, ma questa è la seconda parte della nostra attività.

La prima parte potrebbe essere definita con una nota frase tratta dal Piccolo Principe di Antoine de Saint-Exupéry: “L’essenziale è invisibile agli occhi”.

Qual è la parte essenziale del personal branding che spesso sfugge all’attenzione della maggior parte delle persone (anche di chi si dichiara esperto di personal branding?).

La parte fondamentale e più impegnativa è il lavoro sull’identità professionale.

Il primo principio del personal branding: l’identità fa la performance

Cosa significa?

Nella mia esperienza di consulente di carriera e di personal branding ho incontrato manager che, dopo aver perso il posto di lavoro, hanno pensato bene di intraprendere la strada della consulenza. Bene? In alcuni casi male, perché la loro identità è rimasta quella del manager e quindi hanno fatto una gran fatica a ottenere dei risultati con una nuova veste.

Nessuno mette in dubbio che durante gli anni da manager abbiano maturato esperienza e competenze tecniche. Semplicemente, tutto questo non basta per apparire credibili come consulenti agli occhi dei potenziali clienti.

Un consulente affronta il mercato in modo diverso da chi mantiene l’identità dell’ex manager che magari rimpiange tutti i benefit aziendali. Un consulente comunica in modo diverso, gestisce anche la propria attività in modo diverso.

E se quel consulente non fosse solo uno dei tanti ma fosse IL consulente esperto o lo specialista di una determinata materia?

Come affronterebbe il mercato? Come comunicherebbe? Cosa venderebbe? A chi e quanto potrebbe guadagnare? Che risultati produrrebbe?

Lo ripeto: l’identità fa la performance!

Ho anche incontrato figli di imprenditori che non avevano l’identità dell’imprenditore. Erano solo i figli del padrone. Tutti in azienda li consideravano così. E loro erano i primi a credere di non essere altro o di non poter essere altro. Alcuni per volontà, altri per l’influsso di un genitore un po’ troppo ingombrante.

Questo purtroppo è il motivo per cui molti passaggi generazionali hanno portato al fallimento di aziende di famiglia.

L’identità da imprenditore ti porta a ragionare, a comportarti, a performare da imprenditore.

Lo dico sempre nei corsi che tengo con gli startupper.

Molto più di un’etichetta professionale 

Fare personal branding serve per aumentare la visibilità, farti conoscere, attrarre l’attenzione di potenziali clienti. Giusto! Ma non solo.

Puoi fare personal branding per apparire in un determinato modo, ma è la tua identità professionale – quella che ti senti addosso come un abito su misura – ciò che alla fine ti permette di ottenere dei risultati o farti lo sgambetto. Ecco perché in Stand Out dedichiamo particolare attenzione alla prima parte della consulenza, quella in cui si definisce l’etichetta professionale e la promessa al mercato.

L’amministratore del condominio felice, l’execution manager, la real estate angel sono alcune etichette professionali che hanno permesso ai nostri clienti di affermare il proprio brand professionale. Non sono servite solo per avere qualcosa di esotico e diverso da scrivere sul biglietto da visita o nella headline di LinkedIn.

francesca tortorella

Sono etichette che contengono una promessa al mercato e hanno permesso ai nostri clienti di essere ancora più consapevoli dei propri punti di forza, di focalizzare meglio la comunicazione su alcuni aspetti di valore per alcuni pubblici di riferimento e, di conseguenza, di catalizzare le opportunità di business giuste per loro.

Attenzione: non a caso ho usato l’aggettivo “giuste”. Perché l’identità professionale attira un certo tipo di persone e di opportunità. Per questo, oltre alle conoscenze, alle abilità e ai servizi che offrono, chiediamo ai nostri clienti: “Che tipo di cliente o opportunità vuoi attrarre?”.

 

Se vuoi qualcosa di più di un sito o di qualche bella foto sui social, perché hai deciso di fare personal branding partendo dalla costruzione di fondamenta solide, contattaci.

 

About the Author:

Helga Ogliari
L’amore per le storie ha determinato molte scelte chiave della mia vita: la mia tesi laurea sulla sopravvivenza del mito in epoca contemporanea, la professione di consulente di carriera e formatrice, la creazione di un blog dove per anni ho raccontato storie professionali per finire con l’attività di ghost writer. Tutte queste scelte rappresentano nella mia vita quei puntini che, come ha suggerito Steve Jobs nel suo celebre discorso ai neolaureati di Stanford, ho potuto unire grazie agli studi di storytelling per costruire la mia attuale professione. Oggi collaboro con Stand Out e il mio lavoro consiste nell’aiutare i professionisti a tracciare una linea che unisce i puntini apparsi nel loro racconto professionale per la creazione di un’immagine chiara, un brand da posizionare sul mercato. A loro offro anche le mie competenze di storyteller per raccontare il proprio talento e la propria storia in modo efficace perché, come dice Ira Glass “Great stories happen to those who can tell them” (le migliori storie accadono a chi le sa raccontare).

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